Donne di corsa, ancora troppe limitazioni. Quando cambierà tutto questo?

Il binomio donne e corsa continua ad esistere, nonostante i cambiamenti i tempi non sono ancora maturi per cancellare le questioni di genere, anche nello sport

Avete mai sentito dire “uomini e corsa”? Pare proprio di no…Il binomio donne e corsa invece è frequentissimo. Intere rubriche, programmi e progetti, corsi di corsa, lezioni speciali…ma perché? Cosa rende diverse le donne?

A dirla tutta, la corsa è, come tutti gli sport, molto democratica. Non ci sono differenze sociali, religiose, politiche, geografiche, economiche e nemmeno di genere. In passato c’era il problema della supremazia maschile, gli uomini sostenevano che le donne non potessero correre e ci sono voluti molti anni (e tante eroine) prima che, per esempio, le donne potessero correre una maratona. Ad oggi sembrerebbe sopravvivere solo il problema della sicurezza: andare a correre da sole per strada, specialmente al buio, non è facile.

LA SUORA - Ma non è per tutte così, resistono ancora alcune limitazioni, ad esempio di tipo religioso. Se un prete volesse correre dovrebbe semplicemente indossare un abbigliamento adatto alla corsa; una suora no, deve chiedere il permesso e correre vestita da suora. Ne è un esempio la venezuelana Suor Carmen Vilches che vive in un convento nella città colombiana di Pamplona e ama correre. Suor Carmen ha dovuto ottenere il permesso della madre superiora che ha dato il placet ma ha dovuto poi correre la maratona di Cucuta (Colombia) rigorosamente vestita da suora.

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ISLAM - Svettano tra questi esempi quelli delle donne islamiche, per le quali è difficile farsi accettare come runner e ancora più difficile “svestirsi”. Per tentare di rimediare al problema, circa due anni fa una nota catena di negozi di abbigliamento sportivo aveva proposto in commercio uno speciale hijab, già in vendita in Marocco. Pochi giorni di vita per questo progetto nato in Francia e che è stato subito relegato in un angolo, quello delle polemiche di valori. In pratica, il governo francese ha decretato che sarebbe stato un modo per creare una differenza tra uomini e donne e tentare di sradicare i valori del popolo francese, pertanto il prodotto è stato boicottato. Esempi di scarsa accettazione di questa differenza culturale sono arrivati anche da oltreoceano.

Pochi mesi fa una 16enne è stata squalificata, nonostante avesse stabilito il seasonal best sui 5km, ad un meeting di Atletica in Ohio per aver corso con lo hijab, in pratica per aver violato la normativa sulle divise. Il caso ha suscitato scalpore ma non si è trattato di discriminazione, piuttosto di giudici molto severi che, nella stessa giornata, avevano chiesto ad un ragazzo di sostituire i propri pantaloncini per abbinarli a quelli dei compagni di squadra.

Interessante anche il caso di Salwa Eid Naser, oro nei 400 m ai Mondiali di Doha. Quattro anni prima, da junior, aveva conquistato la medaglia d’oro coperta con le maniche lunghe e lo hijab elastico. A Doha, la Naser è sfrecciata sulla pista senza hijab e ha fermato il cronometro a  48.14 secondi, realizzando il terzo miglio tempo al mondo di sempre, alle spalle di Marita Koch e Jarmila Kratochvilova.

E’ di pochi giorni fa la foto di una donna coperta dal velo e che partecipa alla Karachi marathon, in Pakistan. Significa che le donne possono e vogliono partecipare ad una manifestazione podistica, seppur vestite. E’ strano come in questo particolare frangente indossare un velo abbia costituito un vantaggio. Si, perché alla maratona di Karachi il livello di particolato nell’aria era fuori dai confini dell’immaginabile, tenuto fuori dal velo che per una volta ha invertito la tendenza della discriminazione.

All’alba del 2020 sarebbe bello non dovremmo neppure star qui a disquisire di diffrenze tra uomo e donna e, invece, la strada è ancora lunga…

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